Notevole interesse,
visto la peculiarità dell’argomento, ha suscitato una recente sentenza della Corte
di Cassazione, che prendendo spunto da un caso pratico, ha negato in maniera
definitiva il risarcimento dei danni per la sposa “abbandonata” poche ore prima
di salire sull’altare per il tanto desiderato “sì”.
Con
la decisione in esame (sentenza n.9/2012), la Suprema Corte ha
dato ragione a un promesso sposo siciliano che due giorni prima del fatidico sì
aveva mandato a monte il matrimonio senza nessuna valida ragione.
Contro tale autonoma decisione la ex aveva intrapreso le vie legali.
Contro tale autonoma decisione la ex aveva intrapreso le vie legali.
In primo grado, la fidanzata aveva ottenuto la
condanna dell'uomo al risarcimento di ben 9.875 euro per le spese vive sborsate
per il matrimonio e per le "obbligazioni contratte" quali la
fornitura delle bomboniere e la prenotazione del ristorante. Non solo. Non
contenta di ciò, la stessa ricorreva in appello per vedersi risarcire i danni patiti,
ottenendo in quella sede in aggiunta, anche 30mila euro come risarcimento dei
danni non patrimoniali ossia per i danni morali subiti in seguito alla brusca
rottura.
Contro
questa decisione, il promesso sposo ricorreva in Cassazione.
In
queste sede l’uomo chiedeva di non pagare i danni morali in quanto «il recesso
dalla promessa di matrimonio non costituisce illecito dal momento che la legge
vuol salvaguardare fino all’ultimo la piena libertà delle parti di decidere se
contrarre o non contrarre matrimonio».
I supremi giudici gli hanno risposto che "il recesso senza giustificato motivo configura pur sempre il venir meno alla parola data e dall’affidamento creato nell’altra persona, quindi la violazione di regole di correttezza e di autoresponsabilità che non si possono considerare lecite o giuridicamente irrilevanti". Tuttavia aggiungono che "la legge vuol salvaguardare fino all’ultimo la piena ed assoluta libertà di contrarre o non contrarre le nozze", pertanto anche il recesso senza giustificato motivo "non va incontro alla piena responsabilità risarcitoria" poichè "un tale regime potrebbe tradursi in una forma di indiretta pressione di chi ha promesso di sposare qualcun altro, nel senso dell’accettazione di un legame non voluto".
I supremi giudici gli hanno risposto che "il recesso senza giustificato motivo configura pur sempre il venir meno alla parola data e dall’affidamento creato nell’altra persona, quindi la violazione di regole di correttezza e di autoresponsabilità che non si possono considerare lecite o giuridicamente irrilevanti". Tuttavia aggiungono che "la legge vuol salvaguardare fino all’ultimo la piena ed assoluta libertà di contrarre o non contrarre le nozze", pertanto anche il recesso senza giustificato motivo "non va incontro alla piena responsabilità risarcitoria" poichè "un tale regime potrebbe tradursi in una forma di indiretta pressione di chi ha promesso di sposare qualcun altro, nel senso dell’accettazione di un legame non voluto".
In
altre parole dunque, secondo la
Cassazione , la rottura della promessa di matrimonio, pur
essendo un illecito civile, non comporta la risarcibilità dei danni normalmente
previsti nel caso dei consueti illeciti (siano essi contrattuali o
extracontrattuali).
Il/la
promesso/a spos/a che infrangerà la promessa data sarà comunque tenuto a
risarcire, tanto per fare un esempio, le spese di prenotazione del locale
per il ricevimento, l’acquisto dell’abito nuziale, l’eventuale
mobilia o l’affitto dell’abitazione.
Di
fatti, qualora si dovesse imporre al nubendo il risarcimento anche dei danni
morali (così come riconosciuti in appello), nel caso di diniego al
matrimonio, si finirebbe per imporgli una indiretta pressione. Invece, secondo la Cassazione , ogni
soggetto deve mantenere la piena libertà di scelta sino al
fatidico “si”.
Sul
punto lo stesso codice civile stabilisce che la promessa di
matrimonio non obbliga a contrarlo.
Tale carattere non vincolante
della promessa è volto infatti a tutelare la piena libertà
matrimoniale.
Gli
unici effetti della rottura della promessa sono il risarcimento del
danno nei limiti appena descritti.
Nel
caso di ripensamento del nubendo all’ultimo istante é tuttavia necessario
ricorrere in Tribunale entro e non oltre un anno dalla rottura
del legame, pena l’improcedibilità dell’azione.
Tale mancanza di tempestività
negherebbe la possibilità di riottenere, almeno in parte, i soldi spesi per
organizzare l’evento, eventualità questa, che resterebbe solo una magra
consolazione.
Guglielmo Mossuto
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