lunedì 3 dicembre 2012

CAMBIA IDEA IL GIORNO DELLE NOZZE:NEGATI I DANNI MORALI.





Notevole interesse, visto la peculiarità dell’argomento, ha suscitato una recente sentenza della Corte di Cassazione, che prendendo spunto da un caso pratico, ha negato in maniera definitiva il risarcimento dei danni per la sposa “abbandonata” poche ore prima di salire sull’altare per il tanto desiderato “sì”.
Con la decisione in esame (sentenza n.9/2012), la Suprema Corte ha dato ragione a un promesso sposo siciliano che due giorni prima del fatidico sì aveva mandato a monte il matrimonio senza nessuna valida ragione.
Contro tale autonoma decisione la ex aveva intrapreso le vie legali.
 In primo grado, la fidanzata aveva ottenuto la condanna dell'uomo al risarcimento di ben 9.875 euro per le spese vive sborsate per il matrimonio e per le "obbligazioni contratte" quali la fornitura delle bomboniere e la prenotazione del ristorante. Non solo. Non contenta di ciò, la stessa ricorreva in appello per vedersi risarcire i danni patiti, ottenendo in quella sede in aggiunta, anche 30mila euro come risarcimento dei danni non patrimoniali ossia per i danni morali subiti in seguito alla brusca rottura.
Contro questa decisione, il promesso sposo ricorreva in Cassazione.
In queste sede l’uomo chiedeva di non pagare i danni morali in quanto «il recesso dalla promessa di matrimonio non costituisce illecito dal momento che la legge vuol salvaguardare fino all’ultimo la piena libertà delle parti di decidere se contrarre o non contrarre matrimonio».
I supremi giudici gli hanno risposto che "il recesso senza giustificato motivo configura pur sempre il venir meno alla parola data e dall’affidamento creato nell’altra persona, quindi la violazione di regole di correttezza e di autoresponsabilità che non si possono considerare lecite o giuridicamente irrilevanti". Tuttavia aggiungono che "la legge vuol salvaguardare fino all’ultimo la piena ed assoluta libertà di contrarre o non contrarre le nozze", pertanto anche il recesso senza giustificato motivo "non va incontro alla piena responsabilità risarcitoria" poichè "un tale regime potrebbe tradursi in una forma di indiretta pressione di chi ha promesso di sposare qualcun altro, nel senso dell’accettazione di un legame non voluto".
In altre parole dunque, secondo la Cassazione, la rottura della promessa di matrimonio, pur essendo un illecito civile, non comporta la risarcibilità dei danni normalmente previsti nel caso dei consueti illeciti (siano essi contrattuali o extracontrattuali).
Il/la promesso/a spos/a che infrangerà la promessa data sarà comunque tenuto a risarcire, tanto per fare un esempio, le spese di prenotazione del locale per il ricevimento, l’acquisto dell’abito nuziale, l’eventuale mobilia o l’affitto dell’abitazione.
Di fatti, qualora si dovesse imporre al nubendo il risarcimento anche dei danni morali (così come riconosciuti in appello), nel caso di diniego al matrimonio, si finirebbe per imporgli una indiretta pressione. Invece, secondo la Cassazione, ogni soggetto deve mantenere la piena libertà di scelta sino al fatidico “si”.
Sul punto lo stesso codice civile stabilisce che la promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo.
Tale carattere non vincolante della promessa è volto infatti a tutelare la piena libertà matrimoniale.
Gli unici effetti della rottura della promessa sono il risarcimento del danno nei limiti appena descritti.
Nel caso di ripensamento del nubendo all’ultimo istante é tuttavia necessario ricorrere in Tribunale entro e non oltre un anno dalla rottura del legame, pena l’improcedibilità dell’azione.
Tale mancanza di tempestività negherebbe la possibilità di riottenere, almeno in parte, i soldi spesi per organizzare l’evento, eventualità questa, che resterebbe solo una magra consolazione. 
Guglielmo Mossuto





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