giovedì 19 dicembre 2013

MANTENIMENTO DEI FIGLI MAGGIORENNI


Punto fermo nella giurisprudenza e nella dottrina è il principio secondo il quale al figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente deve essere garantito a pieno il soddisfacimento dei doveri genitoriali.

Sorgono problemi però nel caso in cui il figlio maggiorenne abbia trovato un’occupazione lavorativa, seppur temporanea.
La verifica della persistenza dell’obbligo di mantenimento è ancorata al raggiungimento dell’autosufficienza economica da parte dei figli.
La Cassazione, in numerose sentenze, ha affermato che il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, anche se momentaneamente non autosufficiente economicamente, ha in passato espletato attività lavorativa in quanto, in tal modo ha dimostrato il raggiungimento di un’adeguata indipendenza; non può avere infatti rilievo il successivo abbandono dell’attività lavorativa da parte del figlio, in quanto, una volta venuti meno i presupposti per il mantenimento, questi non possono risorgere.

TUTTAVIA, il solo raggiungimento della maggiore età o l’acquisita autosufficienza economica non liberano automaticamente il genitore in quanto è necessario un provvedimento del giudice che lo autorizzi.
Inoltre, al fine della cessazione dell’obbligo di mantenimento, è necessario che l’attività lavorativa sia conforme alla professionalità acquisita durante gli studi dal figlio e che presenti un certo carattere di stabilità. L’impiego, infatti, oltre ad essere stabile deve anche essere adeguato alle attitudini e alle aspirazioni del figlio.
Nel caso in cui il figlio impiegato stabilmente perda poi il lavoro, non risorge l’obbligo di mantenimento che si estingue definitivamente con il raggiungimento dell’indipendenza economica, ma potrà chiedere, qualora ne ricorrano i presupposti, la corresponsione degli alimenti; occorre, tuttavia, che vi sia un vero stato di bisogno del figlio che obbligherà entrambi i genitori a fornirgli quanto necessario per vivere.

Tale posizione assunta dalla Corte si scontra con la polemica che da anni caratterizza la nostra società e cioè quella dei cd. bamboccioni.
La Corte con una recente sentenza ha, infatti, rimarcato come l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente sussiste anche se ha superato i 30 anni di età e non ha raggiunto una propria autosufficienza economica per ragioni a lui non imputabili.

Meglio allora che il ragazzo continui a starsene a casa piuttosto che mettersi in gioco e trovare lavoro anche se poi, anche per fattori esterni allo stesso potrà trovarsi disoccupato?

Quindi, meglio superare i 30 anni perché non si è trovato un lavoro che ci aggrada e che non è in linea con le nostre attitudini, però continuare a percepire il mantenimento
Oppure
Rimboccarsi le maniche, lavorare, fare di tutto per gravare il meno possibile sul bilancio familiare e accettare qualche compromesso per avere poi i mezzi per raggiungere i propri obiettivi, con l’alto rischio di non percepire più alcunché?

Secondo la Corte di Cassazione l’obbligo dei genitori di concorrere tra loro al mantenimento dei figli non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età ma perdura, immutato, finché il genitore interessato non prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica o che non lavora perché “svogliato”; caratteri questi da valutare in relazione alle aspirazioni, al percorso di studi e alla situazione attuale del mercato del lavoro.

Il mercato del lavoro! Il grande nemico dei giovani di oggi…vieni assunto, uno stage, un tirocinio, un progetto, qualunque cosa sia, è a tempo determinato. E allo scadere del contratto, sempre che un contratto ci sia?!?!?!? A casa! Beh! Difficile parlare di indipendenza economica.
Sulla scorta del principio della valutazione della situazione in base al mercato del lavoro la Corte ha negato la sospensione dell’assegno di mantenimento se il figlio ha lavorato solo per un breve periodo di tempo con retribuzione irrilevante ma anche se si tratta di un’attività lavorativa non sufficientemente stabilizzata e, comunque, non congrua rispetto alle vere e ragionevoli aspettative del figlio.

Un grande caos, manca una posizione uniforme, calibrata a quella che è la situazione attuale della società, è necessario pertanto rimettersi alla logica e al buon senso del giudice che si trova a valutare volta per volta il caso concreto.

Avv. Guglielmo Mossuto

martedì 17 dicembre 2013

NUOVA FAMIGLIA, L’ASSEGNO RESTA UGUALE!



Come spesso accade, in seguito a una separazione, le parti in causa si rimettono in gioco, instaurando nuove relazioni. Tutto giusto! 
Accade spesso anche che dalla nuova relazione nascano nuovi figli, giustissimo anche questo! 
Accade però anche che il genitore che già si vedeva obbligato a provvedere al mantenimento del primo figlio, decida, di sua iniziativa, di ridurre se non di eliminare totalmente il proprio contributo. 
E questo tanto giusto non è, almeno secondo quanto affermato dalla Cassazione!
La nascita di un figlio da una nuova relazione, infatti, non legittima di per sé il genitore ad ottenere una riduzione; è, infatti, necessario che tale avvenimento sia accompagnato da ulteriori circostanze, come ad esempio da un’effettiva diminuzione del reddito percepito.

I giudici hanno, infatti, più volte sottolineato come i figli non possano subire ripercussioni conseguenti alle scelte dei genitori. 
In una logica di continuità con tale principio, la Cassazione ha affermato che la costituzione di un nuovo nucleo familiare costituisce una scelta operata liberamente dai soggetti interessati e, pertanto, non legittima di per sé il genitore a chiedere una diminuzione del mantenimento dovuto ai figli nati dalla relazione precedente.
La nascita di un figlio da una nuova relazione non è una giustificazione sufficiente per ottenere la riduzione dell’assegno di mantenimento, ancor più se il nuovo convivente contribuisce economicamente alle spese del nuovo nucleo familiare, lasciando quindi pressoché inalterate le capacità di reddito del genitore obbligato.

Per ottenere la diminuzione dell’assegno di mantenimento sarà necessario perciò dimostrare, oltre l’aumento di persone a carico nel proprio nucleo familiare:
-         la concreta diminuzione della propria capacità reddituale;
-         la mancanza di contributi economici da parte dell’altro coniuge alle spese della nuova famiglia, in tal caso infatti verrebbero riequilibrate le capacità di spesa del partner.
Solo in tal modo sarà possibile richiedere al giudice una modifica dei provvedimenti con la conseguente riduzione del contributo al mantenimento per il figlio, o i figli, nati dalla prima relazione.
*C. Cass. 23090/13 del 10.10.2013

Avv. Guglielmo Mossuto

mercoledì 11 dicembre 2013

Avv.Mossuto a Lady Radio 1 Puntata

https://soundcloud.com/avvocato-mossuto/avvocato-guglielmo-mossuto-a

Stamani giovedì 12 dicembre alle ore 10 iniziero' un programma sul diritto di famiglia e non solo. Potete ascoltarmi in diretta collegandovi su www.ladyradio.it oppure in tutta la Toscana sul canale 701 del digitale terrestre. Mandate messaggi con domande al 392 5727775. Vi aspetto numerosi.



venerdì 6 dicembre 2013

Adozione, la scelta di restare nell'anonimato da oggi è revocabile.




Lo scorso 18 novembre la Corte Costituzionale si è pronunciata sui rapporti che possono intercorrere tra adottato e madre biologica.L
la materia è caratterizzata dall’art. 30 comma 1 del D.P.R. 3/11/2000 n. 396 che prevede la possibilità per la madre biologica di far dichiarare la nascita del figlio da un procuratore speciale, da un medico, da un’ostetrica o da qualunque altra persona che abbia assistito al parto, consentendole in tal modo di restare nell’anonimato.

La Corte Costituzionale ha, infatti, dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 7 dell’art. 28 della legge 184/1983 nella parte in cui non viene prevista la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio, di poter contattare la madre al fine di un’eventuale revoca della dichiarazione di anonimato.
Il diritto all’anonimato era visto come uno strumento per garantire il diritto alla vita e alla salute sia della madre che del figlio, tuttavia, va inevitabilmente a scontrarsi con il diritto del figlio di conoscere le proprie origini.
Secondo quanto affermato dalla Corte, si tratta di un sistema eccessivamente rigido in quanto, una volta intervenuta la scelta per l’anonimato, la dichiarazione di volontà assume “connotati di irreversibilità destinati, sostanzialmente, ad “espropriare” la persona titolare del diritto da qualsiasi ulteriore opzione”.


Sarà, pertanto, compito del legislatore introdurre precise disposizioni che consentano una verifica nel tempo dell’irremovibilità della dichiarazione della madre naturale la quale abbia deciso, al momento della nascita, di restare nell’anonimato. Al tempo stesso, il legislatore dovrà prevedere procedure e strumenti idonei a circoscrivere le modalità di accesso ai dati personali e a tutelare gli stessi. 
Avv. Guglielmo Mossuto

MULTE con gli autovelox: quando è giusta e quando no!


Come già abbiamo visto per quanto riguarda gli speed check, quello degli autovelox (e di qualsiasi altro strumento rilevatore delle infrazioni stradali) è un annoso problema dato dalla crescita esponenziale delle multe comminate con questi odiosi strumenti.
Sull’argomento, si è recentemente pronunciato il Giudice di Pace di Voghera con un interessante sentenza riguardante i Velocar, un sistema in grado di rilevare infrazioni semaforiche e di velocità, le comuni telecamere che spesso troviamo, soprattutto in città.

Tutte le postazioni di controllo elettronico della velocità devono essere ben visibili, sempre! Non possono, pertanto, essere occultati in alcun modo, neanche dietro le strutture dei cavalcavia, come spesso avviene.
Sarà dunque nulla la multa comminata se la violazione del codice della strada è rilevata da un apparecchio installato in una posizione non visibile, diversamente da quanto previsto dalla direttiva Maroni.
Tali apparecchiature devono essere segnalate almeno 400 metri prima mediante segnaletica verticale che avvisa della presenza dei dispositivi che devono essere, appunto, ben visibili altrimenti sarà configurabile il reato di truffa. Soltanto in un caso è giustificata l’assenza della segnaletica e cioè qualora l’autovelox sia installato sulla volante della polizia.
Spetterà al Comune dare prova della visibilità della strumentazione; il conducente può pertanto limitarsi a sollevare l’eccezione dinanzi al Giudice senza dover dimostrare alcunché.

Talvolta accade che questi dispositivi siano affidati in concessione al Comune da parte di società private; in tali casi, se le società, oltre al un canone fisso, incassano anche una percentuale in base ad ogni verbale, le multe saranno nulle. Infatti, i privati non possono avere un interesse e ricavare un profitto dall’esercizio di attività pubbliche dovute per legge.
Inoltre, gli strumenti di accertamento delle infrazioni devono essere di proprietà dei Comuni, e non essere prestati gratuitamente da aziende private.
Qualora l’azienda privata abbia affidato in convenzione a un’azienda privata il dispositivo di rilevazione delle violazioni del codice della strada e abbia incaricato la stessa anche di ricercare il proprietario del veicolo e di notificargli l’atto con la sanzione, la multa sarà illegittima perché si tratta di dati che non possono essere accessibili ad aziende private e pertanto si avrà una lesione della privacy dei soggetti interessati.

Piccoli accorgimenti:
1.      è nulla la multa per eccesso di velocità che è stata comminata in superstrada dalla polizia municipale in quanto, essendo questa una strada extraurbana, è di competenza della Polizia di Stato.
2.      È nulla la multa notificata oltre i 90 giorni dall’accertamento dell’infrazione, che è diverso dal giorno in cui è avvenuta l’infrazione.
3.      la multa fatta con l’autovelox deve sempre essere contestata immediatamente. Tuttavia, in alcuni casi la pattuglia è autorizzata a non fermare subito il conducente e cioè, ad esempio, nel caso di strade “a scorrimento veloce”.
4.      le foto effettuate dall’autovelox devono ritrarre solo il guidatore e non possono essere inviate presso l’abitazione ma dovranno essere consegnate personalmente a mani dell’interessato.
5.      Le immagini scattate da tali strumenti, se omologate, possono essere utilizzate anche per verificare la copertura assicurativa del mezzo.

Avv. Guglielmo Mossuto


martedì 26 novembre 2013

Sottrazione della corrispondenza! Solo se è l'unica strada percorribile!


La sottrazione di corrispondenza bancaria del coniuge, per produrla nel giudizio di separazione, costituisce reato di sottrazione di corrispondenza, pochissime sono le giustificazioni previste.
A sancire tale principio è stata la Corte di Cassazione in un caso di separazione; il marito aveva prodotto nel giudizio di separazione una fotocopia della corrispondenza bancaria cosi da provare le condizioni patrimoniali dell’altro coniuge, prova fondamentale al fine della determinazione dell’assegno di mantenimento.
Secondo la Corte tutti gli elementi evidenziati dalla difesa al fine di dimostrare l’insussistenza del reato, sono ininfluenti in quanto “non rileva il tipo di corrispondenza, né la natura, di fotocopia ovvero originale, atteso che anche con la sottrazione di una copia del documento, pur nell'ipotesi che tale atto sia contenuto in una busta aperta, resta violato il bene giuridico tutelato dalla disposizione di cui all'art. 616 CP”.
Per quanto attiene alla “giusta causa” che talvolta può essere assunta a giustificazione, la Cassazione afferma che spetta al giudice verificarne l’esistenza mediante un’indagine etico-sociale, individuando i motivi che hanno determinato il comportamento in esame.  
Tuttavia, è bene ricordare che ancora oggi non è chiaro se documenti ottenuti in modo illecito, tramite la lesione di un diritto fondamentale, possano essere prodotti in giudizio o meno. Inoltre, “la giusta causa presuppone che la produzione in giudizio della documentazione bancaria sia l'unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge controparte”
Pertanto, è necessario che solo ed esclusivamente attraverso la rivelazione del contenuto della corrispondenza il soggetto possa tutelare il proprio interesse offeso; solo in tal caso si potrà parlare di “giusta causa scriminante”.
Attenzione quindi non solo a quello che viene detto davanti al giudice ma anche a ciò che viene prodotto, per evitare di passare dalla ragione al torto!


Avv. Guglielmo Mossuto

lunedì 25 novembre 2013

25.11.2013 un giorno per pensare e per cambiare gli altri 364!

Foto: 25 Novembre: Giornata Mondiale contro la Violenza sulle donne.
#fermailbastardo

“Più del 70% delle donne ha subito abuso almeno una volta”

Un'affermazione tanto sconcertante quanto veritiera quella del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. 
Immaginate di essere con 10 vostre amiche...bene! Anzi, male! 7 su 10 hanno subito almeno una volta un atto di violenza.Cose dell'altro mondo, cose di altri tempi, cose che l'umanità credeva di aver superato e che invece tornano di attualità, sempre di più, in un continuo crescendo di frequenza, di violenza, di ignoranza...di uccisione!
E allora, fermiamoci e riflettiamo! Perchè purtroppo non è un luogo comune! L'uomo uccide la sua compagna! L'uomo picchia la madre dei suoi figli! L'uomo violenta la donna! E' un dato di fatto, sono i numeri a dirlo! 

La scelta del 25 novembre non è casuale ma è in onore delle tre sorelle Mirabel, torturate e uccise nel 1960 dagli agenti del dittatore Rafael Trujillo nella Repubblica Dominicana.

Fermiamoci a riflettere! Oggi più che mai! Perchè questa situazione può cambiare ma soltanto se cambiamo noi!

lunedì 18 novembre 2013

AFFIDAMENTO A COPPIA OMOSESSUALI, DA ORA E' POSSIBILE!


A prescindere dai pensieri religiosi, più o meno condivisibili, l’affidamento di un minore ad una coppia omosessuale è ora possibile!

La legge che disciplina l’affidamento dei minori, infatti, non esclude persone dello stesso sesso ma richiede solo «una situazione di fatto paragonabile al contesto familiare sotto il profilo accuditivo e di tutela del minore; persino un nucleo consentito da due consanguinei del medesimo sesso».
 Inoltre «il fatto che i componenti del nucleo abbiano il medesimo sesso» non può «considerarsi ostativo all’affidamento di un minore».
Lo stesso padre della piccola di tre anni affidata ad una coppia di gay si è mostrato favorevole alla misura adottata dal Tribunale dei Minori di Bologna.
I due uomini, di circa 40 anni, da anni conoscono la piccola e la madre; venuti a conoscenza dei problemi che affliggevano la donna, da subito si erano proposti ai Servizi Sociali come possibili affidatari.
Il procedimento instauratosi è stato lungo e difficoltoso, caratterizzato da una lunga istruttoria ma adesso sono mesi, dieci per la precisione, che la bambina vive con la coppia.
Il giudice ha affermato «l’assenza di una precisa definizione legislativa volta a escludere un nucleo composto da persone dello stesso sesso dal concetto di "famiglia" rilevante ai fini dell’affido», nonché l’assenza di un «qualsivoglia richiamo al matrimonio», diversamente da quanto avviene per l’adozione che resta tutt’oggi riservata alle coppie sposate.
 Lo stesso ha altresì ricordato che la convinzione che vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale sia dannoso per lo sviluppo del bambino costituisce un mero pregiudizio;  secondo in giudici, infatti, l’assenza di figure femminili non crea pericoli per la crescita della bambina, essendo altresì l’affidamento un istituto “a termine”.
Scelta condivisibile o meno, quella del Tribunale dei Minori di Bologna è certamente una scelta adottata nell'interesse superiore della piccola, interesse che sempre deve vincere, in qualunque causa i bambini si ritrovino ad essere, loro malgrado, parte interessata!

Avv. Guglielmo Mossuto


mercoledì 13 novembre 2013

AFFIDAMENTO CONDIVISO: GUAI A TRASFERIRSI SENZA IL CONSENSO DELL'EX!


In quanti dopo una separazione, magari anche dolorosa, dal proprio coniuge non hanno pensato di cambiare aria per rifarsi una vita? Nessun problema nel caso in cui non ci siano figli di mezzo, la situazione cambia in presenza di minori…

La Cassazione, lo scorso ottobre, ha esaminato il caso di una donna separata che aveva deciso di trasferirsi, con la figlia di otto mesi, dal paesino della provincia di Trento in cui vivevano e in cui era stata stabilita dal Tribunale la collocazione della bambina nell’ex casa coniugale, in Sicilia dove la donna si trasferiva alla ricerca di un nuovo lavoro. Tutto ciò avveniva all’insaputa del padre della piccola, il quale aveva il diritto di farle visita più giorni durante la settimana. Certo, le necessità della vita possono giustificare un trasferimento di uno dei due coniugi, ancor più oggi, data la precaria situazione economica e lavorativa; tuttavia, l’altro coniuge deve essere sempre interpellato in caso di presenza di figli e il suo consenso diventa indispensabile!

La legge 54/2006 che ha introdotto l’affidamento condiviso come regola generale, parla di “parità genitoriale” e pertanto i genitori dovranno concordare tutte le decisioni riguardanti i figli, come appunto il trasferimento in una città diversa da quella di origine.
Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, infatti, il comportamento della madre che decide unilateralmente di trasferirsi, senza il consenso del padre, viola il dettato della sentenza di separazione; per la Suprema Corte, infatti, "l'elusione dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile che riguardi l'affidamento di minori può concretarsi in un qualunque comportamento da cui derivi la ‘frustrazione' delle legittime pretese altrui, ivi compresi gli atteggiamenti di mero carattere omissivo".

Pertanto, per trasferirsi, insieme ai propri figli, un genitore necessita assolutamente del consenso dell’altro genitore o di un’autorizzazione del giudice. Sono estremamente forti, infatti, le sanzioni alla quali va incontro chi trasgredisce a tale regola: può essere mutato il collocamento dei figli (dalla madre al padre, o viceversa) ma si può arrivare persino alla decadenza della potestà in quanto si tratta di una condotta che può essere definita irresponsabile e, pertanto, incompatibile con il ruolo di genitore col locatario.
(Corte di Cassazione, sentenza del 23 Ottobre 2013 n. 43292)


Avv. Guglielmo Mossuto

PENSIONI e STRANIERI.........1100 EURO AL MESE........E AGLI ITALIANI CHI CI PENSA?


Quando uno straniero vive stabilmente in Italia, anche se non continuativamente, qualora ricorrano i requisiti previsti dalla legge, avrà diritto a percepire la pensione sociale.

La Corte di Cassazione ha, infatti, accolto il ricorso di uno straniero al quale era stata negata la pensione sociale in base alla discontinuità della sua presenza nel territorio nazionale.

L’assegno sociale, tuttavia, ha natura assistenziale e, pertanto, è un diritto fondamentale della persona, concetto affermato dalla Corte Costituzionale e richiamato dalla stessa Cassazione.

Uno dei requisiti necessari per ottenere la pensione sociale è, infatti, quello di vivere in Italia da almeno 10 anni in modo continuativo e legalmente, ovvero essendo in possesso di carta o permesso di soggiorno di durata superiore a 12 mesi.

La legge, elencando i requisiti, richiede altresì una presenza che non sia episodica o di breve durata; tuttavia, per la Cassazione la richiesta di una permanenza per almeno 10 anni creerebbe una discriminazione tra gli immigrati e i cittadini italiani e quindi, per tale motivo, deve essere dichiarato illegittimo.

L’assegno sociale è una misura introdotta nel 1995 esclusivamente per i cittadini italiani;tre anni dopo si è avuta un’estensione dell’ambito di applicazione a favore degli stranieri residenti legalmente in Italia.

Era il 1998 ed erano pochissime le tutele che il nostro ordinamento prevedeva a favore degli immigrati. Tuttavia, 15 anni dopo siamo giunti, per alcuni aspetti, ad assumere atteggiamenti di perbenismo talvolta eccessivi tanto che nella giornata di ieri l’assessore alle Politiche Sociali del Comune di Roma, Rita Cutini, è giunta ad affermare che "Per ciascuno degli immigrati sopravvissuti al naufragio di Lampedusa il ministero dell'Interno provvede con 35 euro al giorno di cui il 20% (7 euro) è a carico di Roma Capitale". Certo, l'aiuto umanitario è un valore inderogabile e un dovere-potere per ognuno di noi, ma forse, in un momento come quello che stiamo attraversando, gli altri Paesi europei e la stessa Unione Europea dovrebbero intervenire, piuttosto che criticare l'operato degli altri restando però chiusi in casa propria!

€.35 ogni giorno, per un totale di €.1050 mensili!!! Una somma esorbitante se consideriamo quanti cittadini italiani sono disoccupati, quanti in cassa integrazione, quanti percepiscono 800-900€ al mese...cittadini italiani che comunque, ogni giorno, mese, anno devono pagare le tasse per contribuire alla “crescita” del proprio Stato.

Avv. Guglielmo Mossuto

martedì 12 novembre 2013

SCANDALOSO.....TAGLI ALLE PENSIONI DEGLI ITALIANI MA CRESCONO INVECE QUELLE DEI PARLAMENTARI.....PENSIONI D'ORO e PENSIONI DI LEGNO, QUANDO L'ARIA NUOVA PORTA ANCHE DISAGI.


La tanto famigerata “spending review” di cui abbiamo sentito tanto parlare negli ultimi mesi e di cui sentiremo ancora parlare, non sembra, per ora, aver portato a grandi traguardi.
In seguito alla caduta del Governo Monti e all’inizio della nuova legislatura con Letta, è stato ampio il ricambio di parlamentari e questo ha vanificato la riduzione dei vitalizi che era stata promessa ai cittadini e che, in parte, era stata realizzata.
Da marzo 2013, infatti, ben 237 onorevoli in più usufruiscono di contributi previdenziali e questo ha portato ad un aumento della spesa pubblica per pensioni e vitalizi pari a circa 7 milioni di euro, rispetto al 2012 ( +1,63% alla Camera dei Deputati e + 6,22% al Senato) L’aria nuova fa sempre bene certo, ma in questo caso non sembra sia cosi per le casse dello Stato; 113 senatori e 124 deputati che alla fine del mandato avevano tutti i requisiti per poter beneficiare dell’assegno previdenziale.

Certo, i tagli alla spesa pubblica ci sono stati ma, come affermato da Stefano Dambruoso, questore della Camera dei Deputati, “purtroppo i tre quarti del bilancio se ne vanno in stipendi e pensioni di deputati e senatori. Si tratta di diritti acquisiti difficilmente tagliabili in modo drastico senza intaccarli”.

Ma vediamo un attimo come viene calcolata la famigerata pensione dei parlamentari; dal 2012 è stato abbandonato il metodo retributivo a favore di quello contributivo, in tal modo la pensione viene corrisposta in proporzione ai contributi versati, come avviene per tutti gli altri lavoratori, tuttavia, le nuove regole si applicano con il sistema pro-rata, e quindi valgono solo per quella parte di pensione maturata dopo il 31 dicembre 2011.

La pensione per i parlamentari scatta solo dopo un’intera legislatura (5 anni) e non più dopo soltanto mezza legislatura, come avveniva in precedenza. A tale criterio di aggiunge quello riguardante l’età: il parlamentare deve infatti aver raggiunto i 65 anni di età, soglia anagrafica che scendeva progressivamente fino a 60 anni per ogni anno di permanenza in Parlamento superiore al quinto.
Ancora, Dambruoso spiega come le cose potranno andare a migliorare, ma ci vorrà tempo, molto tempo, in quanto sarà necessario attendere la scomparsa dei vecchi benefici, ormai maturati:
“I tre quarti del bilancio di Montecitorio è fatto di pensioni e stipendi di deputati e dipendenti, spesa non facilmente aggredibile perché riguarda diritti acquisiti. La quota di spesa su cui si può facilmente intervenire è pari a meno di 300 milioni su un totale di circa un miliardo. Nel medio-lungo periodo comunque e nuove regole produrranno maggiori benefici perché spariranno progressivamente i trattamenti privilegiati pre-riforma e i nuovi parlamentari che andranno in pensione avranno trattamenti di minor favore.

Quindi all’italiano medio non resta altro che attendere, con speranza certo, quella speranza che l’ha aiutato ad andare avanti in questi anni, con €. 900,00 mensili di stipendio o di pensione, con affitti da pagare e cibo da comprare…aspettare, perché la situazione migliorerà (per forza!)…e non pensare che c’è chi ha il coraggio di dire che “sono tempi duri!” riscuotendo ogni mese €.3000/€.4000.


Avv. Guglielmo Mossuto

lunedì 11 novembre 2013

ANNULLABILI LE MULTE DEGLI SPEED-CHECK! LO SCANDALO DI QUESTO RILEVATORE DI VELOCITA'

 
Annullabili le multe inflitte in seguito al rilevamento di uno speed-check. Tali strumenti non sono omologati.

Le colonnine fisse arancioni che vediamo spuntare come funghi ai lati delle strade comunali al fine di rilevare la velocità in maniera continuativa e, nel caso, segnalare eventuali infrazioni, non sono legali!; infatti, anche vengono installate, proprio dai Comuni, come deterrenti alla circolazione veicolare e come rilevatori automatici della velocità, gli speed-check, noti anche come Velo ok, non sono stati ancora né approvatiné tanto meno omologati dal Ministero e, proseguendo per questa strada, risulta difficile immaginare che ciò possa avvenire.

Il Ministero, infatti, afferma che "L’eventuale impiego come componenti della segnaletica non può essere autorizzato in quanto i manufatti non sono riconducibili ad alcuna delle fattispecie riconosciute dal vigente regolamento. Nel caso di installazione a bordo strada deve essere valutata la possibilità che tali manufatti possano costituire ostacolo e pertanto esiste l’opportunità di proteggerli adeguatamente ai sensi della vigente normativa in materia di dispositivi di ritenuta”.

Allora? A cosa servono? Semplicemente possono nascondere al loro interno i comuni autovelox, con la conseguente necessità di una pattuglia a presidio e di un’adeguata segnaletica almeno 400 metri prima. Si applica, infatti, l’intera disciplina dei normali autovelox.

Gli speed-check dunque andrebbero rimossi, ancor più velocemente se si pensa al fatto che cresce sempre più il numero di incidenti da questi provocati. Queste colonnine arancioni sono, infatti, collocate a bordo strada, pertanto devono essere segnalate e protette, potendo costituire un ostacolo per la circolazione stradale. Molte sono le vite perse a causa di questi strumenti.
Il Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture è stato chiaro, ma i Comuni sembrano non recepire il messaggio inviatogli da Roma tanto che si è giunti persino ad ipotizzare il reato di danno erariale da parte dei Comuni. Ebbene si! Infatti, spendere soldi per un oggetto non a norma e non omologabile costituisce reato e sono tanti, troppi, i soldi già spesi per l’acquisto degli speed-check, il cui costo unitario varia da 2000€ a 5000€.

Alla luce di tutto ciò, chiunque abbia ricevuto una multa a seguito di un’infrazione rilevata dagli speed-check sarà legittimato a non pagarla e ad ottenerne l’annullamento e coloro i quali hanno in qualunque modo subìto un danno dalla presenza di queste colonnine lungo la strada, si faccia avanti e faccia valere i propri diritti, che sono numerosi!

Avv. Guglielmo Mossuto

domenica 10 novembre 2013

CHI HA UN CASO DI USURA BANCARIA, FINANZIARIA O PRIVATA MI CONTATTI

CHI HA UN CASO DI USURA BANCARIA, FINANZIARIA O PRIVATA MI CONTATTI....POSSIBILITA' DI FAR CONOSCERE LA VOSTRA STORIA A LIVELLO MEDIATICO NAZIONALE.

giovedì 7 novembre 2013

DIMINUZIONE DEL REDDITO-DIMINUZIONE DELL’ASSEGNO MENSILE: SI PUO’!

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La crisi ha colpito milioni di famiglie e continua, inesorabilmente, a farlo tutt’oggi.
In seguito alla riduzione di stipendio a causa della crisi, il coniuge divorziato obbligato al mantenimento, può chiederne una riduzione.
Il momento di svolta è quello della pronuncia della sentenza di divorzio; se, infatti, il coniuge guadagna meno rispetto a quanto dichiarato durante il procedimento, egli potrà richiedere una modifica delle disposizioni in materia patrimoniale riguardanti mantenimento e contributi per “giustificato motivo sopraggiunto” e pertanto pretendere un adeguamento dell’assegno.
Tuttavia la perdita o diminuzione della fonte di reddito del coniuge obbligato deve rispondere ad alcuni requisiti.
In primis la riduzione deve essere tale da provocare uno squilibrio economico tra i coniugi. A fronte di una effettiva diminuzione delle disponibilità economiche del coniuge obbligato, la famiglia non può pretendere quanto l’altro non può più corrispondere e, pertanto, dovrà adeguarsi e dovrà adattare alle nuove condizioni economiche anche il proprio tenore di vita.
La diminuzione del reddito deve essere oggettiva e pertanto, il coniuge impoveritosi sarà obbligato a provarla in sede giudiziale, mediante dichiarazione dei redditi o qualsiasi documentazione attestante tale riduzione.

Avv. Guglielmo Mossuto

Casa coniugale in comodato: la destinazione deve risultare dal contratto.


Soprattutto negli anni passati era comune sentire una giovane coppia di sposini raccontare il loro trasloco nella casa di proprietà dei genitori dell’uno o dell’altro, di uno zio o comunque di un conoscente, a titolo gratuito.
Tutto procede liscio fin quando la coppia non decide di separarsi....
A quel punto, cosa succede? Cosa ne sarà dell’immobile?
La risposta a questa domanda l’ha fornita la Corte di Cassazione.

Nel caso di specie, la casa coniugale veniva affidata, come generalmente avviene, alla moglie che avrebbe continuato a viverci insieme ai figli; il terzo proprietario, volendo rientrare nel possesso del proprio immobile, ne richiedeva la restituzione immediata.

Il primo grado si concludeva con una sentenza favorevole per la moglie in quanto avrebbe potuto continuare a vivere nella casa coniugale; la Corte di Appello, invece, ribaltando quanto stabilito in primo grado, dichiarava risolto il contratto di comodato e ordinava alla signora la restituzione immediata del bene al legittimo proprietario.

Ed è cosi che la questione è giunta dinanzi alla Suprema Corte; gli “ermellini”, per giungere alla decisione, richiamano quanto disposto dal codice civile riguardo il termine di conclusione del comodato che può risultare sia espressamente dall'atto sia implicitamente mediante la previsione di un vincolo di destinazione d’uso del bene.

Pertanto, il ragionamento seguito dalla Corte di Appello era corretto e perfettamente in linea con il dettato normativo. 

Non è sufficiente, infatti, una mera destinazione di fatto del bene ad abitazione coniugale ma è necessario che la destinazione del bene in comodato ad uno specifico uso risulti dal contratto.

Precisa la Corte, infatti, “.... si può ravvisare un comodato a termine (implicito) solo quando risulti che le parti si sono accordate per la destinazione del bene ad un determinato uso e tale intento abbiano manifestato alla data della conclusione del contratto.

Quindi, non basta dimostrare che era stato concesso l'utilizzo dell'immobile come casa coniugale ma questo particolare uso dell'abitazione dovrà risultare espressamente dal testo del contratto.

Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, in sede di separazione, non rileva; il diritto di abitazione spettante al coniuge, infatti, è soggetto alla disciplina del titolo che lo ha originato, nel caso di specie dal contratto di comodato. 

Qualora non risulti dal testo del contratto la destinazione ad abitazione coniugale, quindi, il proprietario potrà far valere le proprie pretese in giudizio, avanzando richiesta di rilascio e restituzione immediata dell'immobile dinanzi al giudice dell'esecuzione.

*Ordinanza n. 23567 del 16/10/2013.

Avv. Guglielmo Mossuto


giovedì 31 ottobre 2013

IO E IL MIO AMICO CANE!

Molti sono gli obblighi che i proprietari, ma anche dog sitter, o parenti o amici che si sono semplicemente offerti di occuparsi del nostro “amico a 4 zampe” devono rispettare. La responsabilità è stata infatti estesa a chiunque abbia, al momento dell’aggressione, l’affidamento del cane.

Nello specifico, in città deve sempre essere utilizzato il GUINZAGLIO che non deve avere una lunghezza superiore a un metro e mezzo; in alcuni luoghi, soprattutto in quelli più affollati come ad esempio negli autobus è altresì obbligatoria la MUSERUOLA.

Per quanto attiene all’odioso problema delle feci dell’animale, l’ordinanza del Ministero della Salute prevede l’obbligo per chiunque conduca il cane in ambito urbano di avere con sé strumenti idonei e di provvedere alla raccolta delle stesse.

Il proprietario del cane è sempre responsabile e risponde del comportamento del proprio animale sia in sede civile che in sede penale. Tale responsabilità è, tuttavia, limitata se non addirittura inesistente per quanto riguarda i proprietari di cani guida per persone non vedenti e di cani guardia e cani pastore addestrati per la conduzione delle greggi.

Vengono inoltre vietati gli incroci e l’addestramento di razze canine volti al solo sviluppo dell’aggressività, nonchè la vendita di cani sottoposti a  interventi  chirurgici non conformi alla Convenzione europea per la  protezione degli animali da compagnia. Tale Convenzione prevede infatti una certificazione di conformità rilasciata dal veterinario che ha eseguito un intervento chirurgico al fine di tracciare e assicurare ogni intervento eseguito sugli animali.

Viene, infine, previsto un espresso divieto di detenzione di cani cd. “aggressivi” per i delinquenti abituali nonché per i pregiudicati per delitto non colposo contro la persona o contro il  patrimonio, punibile con la reclusione superiore a due anni e comunque per tutti i minori di 18 anni.

Avv. Guglielmo Mossuto


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STRISCE PEDONALI, tormento di ogni automobilista!



“Passo io, tanto sono sulle strisce!” una frase un po’ strafottente forse, ma comunque basata su solide fondamenta, al di là della perenne attenzione che comunque, pedoni, ciclisti, automobilisti e chiunque viaggi per le strade deve avere!

Gli incidenti sulle strisce pedonali sono sempre più frequenti e i pedoni hanno sempre ragione, o almeno nel 99% dei casi.
Quando ci troviamo sulla strada, due occhi non sono sufficienti, ne servirebbero almeno il doppio, se non il triplo…

In caso di incidente sulle strisce pedonali, infatti, la condotta del pedone contraria al codice della strada non è sufficiente a ridurre la responsabilità dell’automobilista o addirittura a esonerarlo. La condotta di colui che attraversa le strisce pedonali deve essere per il conducente imprevedibile e atipica, egli deve pertanto prevedere eventuali imprudenze del pedone.

La Cassazione, in una recente sentenza, ha confermato tale principio evidenziando che tra gli obblighi del guidatore rientra anche quello di prevedere eventuali violazioni da parte del pedone del codice della strada e, pertanto, alla luce di ciò, sarà responsabile l’automobilista anche nel caso di un pedone che attraversa dove le strisce pedonali non ci sono!

E’ difficile, dunque, se non impossibile, salvarsi da una condanna penale nel caso di incidente stradale che abbia coinvolto un pedone; ciò può avvenire solo dimostrando l’oggettiva impossibilità di seguire i movimenti del passante. L’automobilista, o il motociclista che sia, deve quindi prevedere ogni eventuale imprudenza del pedone. Due, quattro, sei…forse neanche cento occhi basterebbero!

Avv. Guglielmo Mossuto

lunedì 28 ottobre 2013

SOLLICCIANO, AL LIMITE DELLA DIGNITA’ E DELLA SICUREZZA!


                                                         CARCERE DI SOLLICCIANO




Molti sono stati negli ultimi mesi gli episodi di insofferenza  e protesta che si sono susseguiti tra i detenuti del carcere fiorentino di Sollicciano; la causa di ciò è senza dubbio la condizione disumana e degradante nella quale si trovano a vivere i detenuti.

DEGRADO IGIENICO - STRUTTURALE: infiltrazioni d’acqua, muffa sulle pareti di corridoi, celle e sale di attesa, vetri rotti e spazzatura accatastata. 

Le mura diventano come spugne, umide ed usurate si deteriorano, consentendo cosi all’acqua di filtrare all’interno arrivando persino a bagnare i materassi nei quali dormono i detenuti.

Nella cucina sono pochissimi i macchinari funzionanti, per non parlare del parco veicoli.
La stessa ASL di Firenze è intervenuta, al fine di verificare lo stato e l’igiene dell’ambiente.

Come se non bastasse, a quanto sopra elencato si aggiunge una vera e propria “emergenza piccioni” che affollano gronde, tettoie e finestre creando problemi, oltre che per la pulizia, anche per la salute, una salute troppe volte negata a causa dell’insufficienza delle visite mediche, eseguite con eccessiva superficialità.

SOVRAFFOLLAMENTO: le pesanti multe inflitte dall’Unione Europea all’Italia non sembrano aver sortito grandi effetti; restano infatti notevolmente alte le percentuali di sovraffollamento dei carceri italiani. Per quanto riguarda Sollicciano, siamo ben oltre il 100%!

Si tratta infatti di una struttura concepita per ospitare meno di 500 persone che oggi si trova ad accoglierne oltre 1000. 

E’ così che in una cella di circa 12 mq, toilette compresa, progettata per una sola persona, possiamo trovare anche 3 detenuti. In ogni sezione ci sono soltanto 5 docce, nelle quali manca l’acqua calda, ormai da mesi.

Sollicciano non è un carcere di massima sicurezza, ci troviamo infatti essenzialmente borseggiatori, tossicodipendenti o comunque imputati di reati minori.

Il 70% dei detenuti è costituito da extracomunitari mentre oltre il 30% è costituito da tossicodipendenti che non dovrebbero scontare la loro pena all’interno del carcere bensì in comunità, in luoghi in cui possano guarire dalle patologie dalle quali sono afflitti e riappropriarsi della loro vita.

MANCANZA DI ORGANICO: a fronte di un sovraffollamento delle celle, si presenta una decisa mancanza di personale. 

Soltanto 2/3 della dotazione operativa prevista è realmente effettiva. E questo, insieme alla diaria prevista, è uno dei motivi per i quali hanno subito una notevole riduzione le attività ludiche o lavorative dei detenuti, non essendo sufficiente il personale per garantire un’adeguata vigilanza. In tal modo, c’è chi trascorre all’interno della cella, nella quale a volte non trova neanche il posto per distendersi, fino a 20 ore su 24.

Ed è cosi che a luglio è iniziato lo “sciopero del vitto” dei detenuti contro il sovraffollamento, al quale si è poi affiancato quello del “sovravvitto” contro i prezzi imposti per i prodotti in vendita all’interno dell’istituto penitenziario.

Allo sciopero, un mese dopo si è aggiunto l’incendio di un materasso, che ha creato disagi e persino il ricovero di alcuni detenuti presso l’ospedale.

Le condizioni di vita superano qualunque livello di sopportabilità e superano di gran lunga quanto disciplinato dalla legge; un ambiente che, come sancito dall’art. 27 della Costituzione Italiana, dovrebbe rieducare il detenuto e favorirne il reinserimento nella società, diventa, purtroppo, un vero e proprio incubo e troppe volte, l’ultima dimora di alcuni di loro.

Una considerazione bisogna però farla: se l'Unione Europea, invece di multarci, si prendesse carico insieme a noi italiani di tutti questi stranieri che arrivano attraverso un piano di recupero concreto da suddividere tra tutti gli Stati membri, il problema verrebbe notevolmente ridimensionato e le penose condizioni delle nostre carceri migliorerebbero sensibilmente. 

Avv. Guglielmo Mossuto

giovedì 24 ottobre 2013

TUTTE LE TUTELE PREVISTE PER CHI NON E' IN CONDIZIONE DI CURARE DA SOLO I PROPRI INTERESSI!



Quando un soggetto maggiorenne presenta delle limitazioni della propria capacità fisica o psichica, l’ordinamento interviene prevedendo degli istituti quali l’amministrazione di sostegno, l’interdizione e l’inabilitazione.


Ai sensi dell’art. 2 del codice civile, infatti, con il compimento dei 18 anni di età si acquista la capacità di agire e cioè la capacità di compiere “tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa”.
atti che abbiano effetti giuridici.
Tuttavia, il soggetto in questione può non essere totalmente capace di porre in essere atti che provocano effetti sul piano giuridico, può non rendersi pienamente conto del valore degli atti che esegue; per questo motivo l’ordinamento ha predisposto 3 istituti a tutela di tale situazione.

L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO è un istituto introdotto recentemente per tutelare coloro i quali non siano in grado di provvedere, in tutto o in parte, ai propri interessi. La peculiarità di tale misura risiede nel fatto che la capacità di agire del soggetto viene limitata il meno possibile in quanto residuano ampi margini di autodeterminazione e di discrezione per il destinatario. La nomina dell’amministratore di sostegno viene disposta dal giudice tutelare attraverso un decreto che sarà immediatamente esecutivo e che andrà a definire quali saranno gli atti nei quali dovrà intervenire l’amministratore di sostegno e con quali modalità. Qualora l’amministrato ponga in essere atti posti in essere in violazione della legge o del decreto, questi saranno annullabili.

L’INABILITAZIONE e la CURATELA: i casi di inabilitazione sono tassativamente indicati e ricorrono in caso di infermità abituale di mente, abitualità a spendere in modo disordinato e smisurato in relazione alle proprie capacità economiche, abuso di alcool o di stupefacenti e sordomutismo o cecità dalla nascita o dalla prima infanzia. In tutti questi casi il soggetto inabilitato viene affiancato da un curatore il quale lo assiste e lo autorizza a compiere atti di straordinaria amministrazione; per quanto riguarda gli atti di ordinaria amministrazione, l’inabilitato resta libero di compierli autonomamente.

L’INTERDIZIONE è la misura più gravosa e più restrittiva della libertà del soggetto; applicata agli infermi totali di mente, il tutore dovrà compiere tutti gli atti giuridici in sostituzione dell’incapace.
Due sono i presupposti dell’interdizione:
-         vizio di mente abituale;
-         inettitudine a curare i propri interessi a causa proprio del vizio mentale.
Vi è anche un’ipotesi di interdizione legale che è prevista come pena accessoria per coloro i quali sono condannati all’ergastolo o alla reclusione per un periodo non inferiore a 5 anni.

L’interdetto è, pertanto, sottoposto alla stessa incapacità generale riconosciuta per i minori di 18 anni.
Il minore è di regola sottoposto alla POTESTÀ DEI GENITORI, potere-dovere irrinunciabile gravante su entrambi i genitori caratterizzato da una duplice natura:
-         personale: i genitori devono custodire, allevare, educare e istruire il minore;
-         patrimoniale: entrambi i genitori hanno la rappresentanza legale del minore, amministrano i suoi beni  e godono dell’usufrutto legale; tuttavia, per atti eccedenti l’ordinaria amministrazione necessitano della preventiva autorizzazione del giudice che si avrà solo in caso di evidente necessità o utilità per il minore.
Tuttavia, vi sono dei casi in cui questi vengono a mancare e si rende pertanto necessaria una qualche forma di tutela. Nel caso di scomparsa di entrambi i genitori ovvero di scomparsa di uno di essi e interdizione dell’altro, si apre il procedimento per la nomina di un tutore che provvederà sia all’amministrazione del patrimonio del minore sia alla sua cura personale.
Anche in questo caso, il legislatore ha previsto tre istituti al fine di sostenere il minore rimasto orfano o comunque privo, per qualsiasi altro motivo, di un soggetto capace di tutelare i suoi interessi:
1.       TUTELA:  il tutore viene nominato dal giudice tutelare nell’immediatezza dei fatti dai quali deriva la necessità dell’intervento; il tutore interviene sia sui rapporti patrimoniali sia su quelli personali, curando altresì l’educazione del minore. La scelta del tutore avviene sulla base dei criteri dettati dall’art. 348 c.c. e, pertanto, la tutela potrà essere:
-         volontaria, in caso di nomina da parte del genitore che per ultimo ha esercitato la potestà sul minore;
-         legittima, se la tutela è affidata a un parente prossimo o a un affine del minore;
-         dativa, se è affidata a soggetti scelti liberamente dal giudice tutelare;
-         assistenziale se è affidata a un ente di assistenza.
2.      CURATELA: il curatore integra la volontà dell’emancipato o dell’inabilitato
3.   AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: anche per i minorenni emancipati, tale forma di tutela segue la disciplina dettata per i soggetti maggiorenni essendo, anche in questo caso, l’istituto che concede la più ampia discrezionalità.

Tutta la materia è di competenza del giudice tutelare, dotato di poteri di vigilanza e di intervento, anche disponendo dell’ausilio degli organi di polizia.
E’ necessario, dunque, rivolgersi ad un legale oppure direttamente al Tribunale al fine di assicurare una cura adeguata della persona e degli interessi del soggetto interessato.

Avv. Guglielmo Mossuto